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“Gli imprenditori hanno bisogno – oggi e non domani – di ingenti iniezioni di liquidità, una vera e propria boccata di ossigeno indispensabile per salvare le aziende in difficoltà e consentire a quelle che hanno chiuso di riaprire mantenendo i livelli operativi e occupazionali”.

Ecco quanto ribadito da Carlo Sangalli –  Presidente di Confcommercio – nell’intervista esclusiva rilasciata per le testate del nostro gruppo editoriale.

Qual è il suo giudizio sullo spostamento della riapertura dei punti vendita al 18 maggio, con altri che dovranno aspettare sino al primo giugno?

Il lockdown di due mesi ha messo in una difficoltà senza precedenti le imprese che hanno dovuto fermare le loro attività. E ogni giorno di chiusura in più appesantisce perdite già gravissime. Abbiamo più volte evidenziato la necessità di far ripartire in sicurezza e il prima possibile tutte le imprese. Va tenuto, infatti, ben presente che quelle di alcuni settori, come la ristorazione e il turismo, sentiranno maggiormente gli effetti della crisi anche nei prossimi mesi.

I vostri associati sono pronti e attrezzati per ripartire?

Dopo aver sottoscritto due protocolli di intesa – il 26 marzo con i sindacati di categoria e il 24 aprile con il Governo e tutte le parti sociali – abbiamo messo a punto un documento che delinea le linee guida per consentire alle imprese di rispettare le misure sanitarie. Cioè distanziamento sociale, adozione di strumenti di protezione e prevenzione del rischio contagio e sanificazione degli ambienti. Un risultato importante raggiunto grazie anche al contributo di tutte le associazioni di Confcommercio, la cui sintesi può essere colta in due punti:

  • l’esigenza di ragionare in termini di filiera;
  • la necessità di una regia nazionale per la definizione delle regole di sicurezza che devono essere poche, certe, efficaci e sostenibili dal punto di vista economico per le imprese.

Che impressione ha ricavato dalla visita del premier Conte a Milano?

La Lombardia è stata la regione più colpita dal coronavirus, per cui era importante e attesa la visita del premier. Mi sono sforzato di fare capire al presidente le enormi difficoltà del nostro sistema imprenditoriale e la necessità che gli aiuti stanziati arrivino subito e senza ostacoli alle imprese, soprattutto alle più piccole, prima che sia troppo tardi. E le prossime settimane, anche da questo punto di vista, saranno determinanti per il futuro del nostro Paese.

Cosa chiederete incontrando il governo?

La priorità rimane quella di costruire, da adesso, un percorso di sostegno straordinario fatto di indennizzi e contributi a fondo perduto, prestiti senza burocrazia e moratoria fiscale per tutto il 2020 che permetta alle imprese danneggiate dal lockdown di ripartire e tornare a essere un valore insostituibile per le nostre città e per il nostro Paese. Ma per superare la crisi tutto questo va fatto con la massima urgenza e – ripeto – senza ostacoli burocratici, a Roma come a Bruxelles.

Che danni ha determinato il lockdown per i consumi? Possiamo fare una quantificazione?

Ci sono intere filiere – a partire da quella del turismo fino a quelle dell’edilizia, dell’abbigliamento e dell’automotive – che in questi due mesi di blocco totale hanno azzerato i propri fatturati. Una situazione realmente drammatica anche per tantissime attività del commercio, dei servizi, dei trasporti e delle professioni che hanno dovuto fermarsi e che corrono il rischio, più che concreto, di non riaprire più. Il settore della ristorazione e dei pubblici esercizi, per esempio, già registra oltre 30 miliardi di perdite con il rischio della chiusura definitiva di circa 60 mila imprese e la perdita di 300 mila posti di lavoro.

Se la situazione d’emergenza proseguisse oltre l’estate, con che cosa dovremmo misurarci a settembre?

Il danno per il Paese sarebbe enorme. Il nostro Ufficio studi ha stimato – ed è un calcolo prudenziale – che, se l’emergenza dovesse proseguire oltre l’estate, i consumi quest’anno crollerebbero di circa 84 miliardi di euro. Tre quarti dei quali concentrati nell’abbigliamento, nel settore auto e moto, nei servizi ricreativi e culturali ma soprattutto in alberghi, bar e ristoranti. È già certa, infatti, la diminuzione senza precedenti, tra marzo e maggio, di oltre 30 milioni di turisti italiani e stranieri. Una perdita insopportabile per l’economia e la società italiana.

Quanto rischiamo di perdere a fine anno in termini di Pil?

Secondo le nostre valutazioni di scenario, a partire dal calo dei consumi e considerando una forte caduta degli investimenti e una modesta crescita dei consumi pubblici, il Pil italiano potrebbe perdere qualcosa come 130 miliardi di euro a fine anno, pari a una caduta in termini reali del 7,9% rispetto al 2019.

Chi è più a rischio di tutti? C’è qualcuno che invece può guardare al futuro con più serenità?

Tantissime imprese, una volta superata l’emergenza, rischiano realmente di non avere più le energie per ripartire. Ci sono, al contrario. alcuni settori produttivi, come quello dell’alimentazione, che hanno risentito meno della crisi. Nessuno, però, può guardare al futuro con serenità perché le incognite dell’emergenza sanitaria sono ancora molte. Certamente sarà importantissimo innovare, formare e adattare le attività imprenditoriali, di qualunque dimensione, a una realtà socioeconomica che non sarà più la stessa. Detto questo gli imprenditori – lo ribadisco – hanno bisogno oggi e non domani di ingenti iniezioni di liquidità, una vera e propria boccata di ossigeno indispensabile per salvare le aziende in difficoltà e consentire a quelle che hanno chiuso di riaprire mantenendo i livelli operativi e occupazionali.